Se qualcuno ci chiedesse di descrivere le peculiarità di una persona, spesso la risposta si concentrerebbe su occhi, viso, attributi fisici. Tutto importante, ma in verità sono lo sguardo e la mimica facciale a fare la differenza. Pensiamo a una persona e cerchiamo di immaginare cosa sarebbe senza le sue espressioni facciali, con uno sguardo appesantito dal tempo che passa, con una bocca che non sorride più. Sarebbe la stessa persona? No.
L’ipomimia, caratteristica che si ritrova anche in molte patologie neurodegenerative come il Parkinson, può essere un campanello d’allarme. Quando l’espressività facciale va lentamente spegnendosi potrebbe, infatti, esserci qualcosa che non va. Lo sa bene la giovanissima Erin Smith, studentessa del Kansas (USA), che è riuscita a mettere a punto un valido sistema per il riconoscimento delle espressioni facciali e le possibili correlazioni con patologie neurologiche.
Nasce in questo modo l’applicazione FacePrint, studiata in collaborazione con la Michael J. Fox Foundation, che sta diventando uno strumento utile per diagnosticare e monitorare il Parkinson anche in fase iniziale, prendendo in considerazione i segnali inviati proprio dallo sguardo e dalla mimica facciale.
In questo caso un selfie potrebbe salvare la vita di tantissime persone che, semplicemente attraverso una foto, potrebbero scoprire un problema da approfondire.
Non solo. L’osservazione della mimica facciale è utilizzata, soprattutto negli Stati Uniti, nel campo delle indagini giudiziarie. Si osservano i movimenti del viso degli imputati, perché questi sono strettamente collegati con alcune emozioni come paura e rabbia. Chi mente mette in mostra determinate espressioni del viso e lo stesso avviene per chi, invece, è sicuro di dire la verità.
Esprimere emozioni attraverso il viso: senza questo non saremmo noi. Ciò vale quando si ha a che fare con patologie neurodegenerative ma anche nel caso in cui quella riflessa nello specchio non sia più l’immagine che abbiamo di noi stessi. Chi si osserva e non si riconosce può avvertire l’esigenza di cambiare, senza stravolgersi, per tornare ad essere la persona di prima.
Ritocco emozionale: il legame tra medicina estetica ed emozioni
La medicina estetica può aiutare chi si ritrova smarrito dinanzi alla propria immagine attuale. Sguardi segnati da rughe profonde, pelle che cede, un viso che appare più spento, stanco e affaticato: tutto questo può portare con sé un senso di inadeguatezza che spinge la persona a chiudersi in se stessa. Cosa fare? Ritrovare il sorriso, ripristinare espressioni facciali che esprimono emozioni positive.
Per questo, soprattutto negli ultimi anni, si parla di una nuova concezione di medicina estetica, di ritocco emozionale e di filler inverso. Si pone l’accento su quello che può far stare bene e ritrovare il sorriso perso con il passare degli anni.
Ad essere cambiato è soprattutto il rapporto dei pazienti con la medicina estetica. Oggi come oggi, infatti, almeno la metà delle persone che si rivolgono a un chirurgo estetico sono attente alla zona inferiore del viso, chiedendo di ridefinirne i contorni così da tornare a essere più attraenti. Si tratta, del resto, della regione che per prima, dopo lo sguardo, perde tono ed elasticità, conferendo al viso un aspetto appesantito.
Lo stesso discorso vale per la zona degli occhi, importantissima per la mimica facciale. Se solcata da rughe profonde o spenta da palpebre cadenti o da borse e occhiaie, il risultato sarà quello di trasmettere a chi guarda un messaggio negativo, di stanchezza o di depressione. Si può fare qualcosa? Assolutamente sì.
Ci sono vari interventi di medicina estetica che si possono prendere in considerazione. Si va dalla blefaroplastica superiore e inferiore ai vari filler di ultima generazione per le rughe. Attenzione, però: il risultato deve sempre essere naturale, finalizzato ad avere nuovamente la tanto apprezzata happy face, ma senza andare a modificare in maniera radicale il proprio aspetto.
Tornare ad avere un viso rilassato, tonico, fresco, tornare a sorridere: la medicina estetica può fare anche questo.
Non resta che fissare un appuntamento per individuare il miglior trattamento.